Quest'oggi vi propongo il primo "vero" post di questa rubrica. Non vedevo l'ora di parlarvene. A. M. ossia Alda Merini, una poetessa ai noi molto vicina (sia per temi che cronologicamente, essendo venuta a mancare solo alcuni anni fa, nel 2009). L'ho scelta come mediatrice, come sorta di apripista per introdurre in questo blog la poesia e far si che i versi si diffondano fra le pagine, nella home e, da qui, nei vostri cuori e nelle vostre menti.


Ciò di cui fu vittima la Merini, come molti altri prima di lei, fu un incasellamento diagnostico di segni e sintomi. Per ben 27 volte fu ricoverata in clinica psichiatrica e qui conobbe la sofferenza, amorosa o familiare, e il "dolore senza nome del manicomio". La genialità della donna, giudicata folle, depressa e schizofrenica, non è slegata dal dolore, ma proprio grazie ad esso la poetessa ha potuto scandagliare l'animo umano per rinascere e ritrovare "l'amore, il motore del mondo".
La poesia risulta essere per la "piccola ape furibonda", come lei stessa amava definirsi, l'unica in grado di "ascoltarla" e sollevarla dalla pesantezza della vita, risvegliando le emozioni derivate dall'osservazione della natura e dei suoi colori. Alla maschera di folle che le si attribuisce, rispondono versi orfici e onirici in cui emerge la sua vera essenza.

Nel 1961 fu internata per la prima volta in manicomio, contro la sua volontà , dopo aver "dato in escandescenze" stanca per il lavoro e la povertà dal marito che aveva chiamato un'ambulanza. I manicomi a quel tempo erano veramente terribili: le persone si laceravano le vesti, strappavano i capelli, non c'era rispetto nei confronti dei pazienti (alcuni bisognosi di cure, altri internati solo per far spazio alla bramosia degli uomini, come lei stessa racconta). Fu sottoposta all'elettroshock senza anestesia e quel ricordo la perseguitò a lungo. Quando finalmente uscì da quel mondo di disperazione, iniziò a parlarne in pubblico, invitata talvolta in programma tesevisi, per far conoscere all'Italia cosa accadeva nei manicomi prima della nuova Legge Basaglia, e quali torture e orrori aveva vissuto. Alda riuscì a rendere in poesia quei giorni, dopo aver accettato la presenza del male e averlo reso "un vestito incandescente".



Ciò che mi ha più colpito della Merini è la sua forza, il suo risorgere dalle ceneri, la leggenda dell'amore che vince su umiliazioni e torture. Tutto viene meno e si piega al suo canto profetico che oscura il male e il dolore: le parole acquistano profondità e si legano al lettore, come una richiesta. Un "unico bacio d'amore".
In queste poesie c'è una sorta di forte dicotomia, un binomio tra slancio e rinuncia: la Merini abbraccia la vita con desiderio, ma lo fa nell'amara consapevolezza della crudezza della vita stessa, di quante difficoltà si debbano affrontare e di quanto dolore si possa provare. È come se ci fossero un'immensa Gioia a risollevare un'esistenza triste e desolata e, allo stesso tempo, un Dolore bruciante e logorante che concretizza l'amore e incatena la sognatrice alla follia del manicomio e della vita reale. Vivendo nel pieno delle sue passioni, è stata etichettata come pazza, folle. Quando invece era solo ebbra d'amore, di vita. Un prezzo da pagare per continuare a essere se stessa, ma inquadrata da una società che agisce in nome di categorie e cornici.
I suoi versi generano in me ogni volta che li rileggo emozioni forti: rabbia, impulso, passione, ma anche amore, dolore, sofferenza e soprattutto un forte desiderio di vivere. Spero tutto ciò sia arrivato anche voi e mi piacerebbe leggere qualche vostro commento, sia su Alda che su questo nuovo progetto. A presto!
Francesco
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